Da lunedì scorso (27 aprile), per alcune aziende e commerci le cose sembrano essere tornate alla normalità.
Forse sarà un boccata d’aria fresca per tutti, in tutti i sensi economico e sociale, ma dopo quasi un mese e mezzo di fermo totale, i danni, i traumi e le paure si fanno sentire.
Sono molte le persone che, tirando le somme di praticamente due mesi di attività ridotta ai minimi termini o nulla, si accorgono delle conseguenze. Molti hanno dovuto adattarsi a nuove condizioni in tempi fulminei e altri si sono visti sprofondare nel baratro, impotenti.
La situazione non è rosea, ma uno spiraglio di luce c’è sempre.
“Ci stiamo preparando alla riapertura con vari mezzi, per esempio plexiglass alle casse, divisioni e conteggio delle persone che entrano ed escono dal locale” – commenta Sofia Santori Bassi, fondatrice del Centro Sfera Bianca di Cadempino, inquilino di Imvedo – “ma chi lo sa come sarà il mercato e la clientela quando tutto tornerà alla normalità? Se la gente uscirà per comprare, o avrà la possibilità economica di farlo, sarà tutto da vedere. Durante il lockdown, solamente le nostre attività formative e il centro Snoezelen, che ora potrebbe ripartire, sono stati fermi. Ma è tutto interconnesso fra loro e ne abbiamo chiaramente risentito. Siamo al limite, ma ci sono casi peggiori”.
Come Centro Sfera Bianca, un altro inquilino di Imvedo, Work & Work, è riuscito a mantenere una certa stabilità con dei cambiamenti repentini.
Filippo Colombara, direttore, sostiene che “operando nel campo dei servizi per le risorse umane, ed annoverando fra i nostri clienti diverse realtà attive in settori considerati essenziali (farmaceutico, alimentare, spedizioni, bancario, ecc.), non siamo mai arrivati ad una chiusura aziendale. Da subito siamo passati allo smart working da casa, indubbiamente i primi giorni sono stati molto difficili da organizzare, ma le cose alla fine sono andate bene. Nelle prime settimane la gestione dell’emergenza ha fatto crescere la mole di lavoro generando però una diminuzione degli incassi. In queste settimane le nostre attività si sono fondamentalmente concentrate su attività commerciali e amministrative finalizzate alla gestione della crisi, e solo in alcuni ambiti vi è stata la richiesta di nuovo personale. Fortunatamente non prevediamo dei tagli di personale a medio-corto termine e, sicuramente, la misura del lavoro ridotto ci ha permesso di affrontare la situazione con maggiore serenità. Lunedì scorso siamo ripartiti con più personale in azienda, in ogni caso i nostri uffici sono ancora chiusi al pubblico e per una realtà come la nostra, che pone molta importanza nei colloqui di persona, è uno svantaggio”.
Come tutte le aziende in Svizzera, il lavoro ridotto ha anche salvato determinate realtà che si sono viste completamente perse dopo la chiusura definitiva delle attività lo scorso 14 marzo.
Un settore fortemente colpito è quello della vendita e dei negozi d’abbigliamento: “Vendiamo poco online. Nel settore dell’abbigliamento e delle scarpe, è solo per i big, anche se ci impegniamo a differenziarci. Siamo piccoli” – commenta Guglielmo Sonego, proprietario della catena di negozi Sonego – “La cosa più preoccupante però, è che l’abbigliamento non funziona in una situazione di lockdown. Chi compra dei vestiti quando deve starsene a casa? Già con l’inizio della crisi, nei primi giorni di marzo, la gente non veniva più in negozio e i dipendenti erano spaventati. Penso che chiudere sia stata la scelta giusta, anche perché gli incassi erano ridicoli. Ma siamo molto preoccupati per la nostra situazione economica. Per fortuna siamo in Svizzera, e con gli indennizzi ricevuti abbiamo potuto pagare i dipendenti, la prima cosa da fare, e le fatture più urgenti. Sarà però necessario scendere a compromessi con i fornitori e i proprietari degli immobili che affittiamo. Non riusciremo mai a pagare tutto e non sappiamo se riusciremo a risanare i conti”.
Sonego racconta di sicuro una realtà simile a moltissime altre aziende. Per tutti è stato un periodo durissimo, ma la gente ha cercato comunque di arrangiarsi per minimizzare i danni.
“Subito, quando abbiamo chiuso il negozio al pubblico, abbiamo cominciato ad inserire tutti i prodotti online” – commenta Santori Bassi – “Per fortuna, nel nostro caso, abbiamo potuto lavorare molto con il negozio sul web, dal quale il nostro progetto è partito. Un ritorno alle origini insomma. Ma la primavera, serve anche da cassa per l’estate, solitamente un periodo morto. E questo è un problema. Anche se forse, quest’estate sarà differente. Procediamo per settimane”. Colombara ricorda invece le difficoltà, nel cambiare un’organizzazione d’ufficio completa: “Non bisogna dare per scontato che la gente abbia computer e collegamenti internet nella propria abitazione, e soprattutto che sia abituata a non venire in ufficio e lavorare da postazioni differenti. Alcuni collaboratori hanno dovuto staccare schermi e computer, caricarli in macchina e installarli a casa. Ogni cambiamento comporta delle difficoltà e dei tempi tecnici di realizzazione, in questa caso il cambiamento è avvenuto in 24 ore”. Come dice Sonego, però, la Svizzera forse ha avuto più fortuna: “Gli effetti collaterali si fanno sentire, ma siamo fortunati. Immagino che in altre realtà ci siano casi ben più gravi”. Tutti attendono di ripartire a pieno regime. Come, nessuno lo sa davvero. Sta di fatto che, probabilmente, sarà tutto diverso.
Di Filippo Rossi